sabato 4 febbraio 2012
Ma che noia il posto fisso
”I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. Del resto, diciamo la verità, che monotonia un posto fisso per tutta la vita. E’ più bello cambiare e accettare nuove sfide purché siano in condizioni accettabili. E questo vuol dire che bisogna tutelare un po’ meno chi oggi è ipertutelato e tutelare un po’ di più chi oggi è quasi schiavo nel mercato del lavoro o proprio non riesce a entrarci”. Così ha detto realmente Monti, il quale si spiega meglio in questa intervista. Analizza il tema Irene Tinagli. Altri link: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9.
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4 commenti:
D'accordo con Polito sui "baby boomer", con Ricolfi sull'Art 18 e "il diritto di entrare in un mercato del lavoro più dinamico ma più equo" e con la proposta di Tinagli e in particolare su una riforma che alle aziende non diano alibi per scelte dovute a riduzione del costo lavoro e che la lotta dei sindacati sia incentrata "sulla persona, la sua formazione e crescita più che sul posto di lavoro".
Unico timore è che, poichè in fase di crisi economica occorrono ammortizzatori sociali elevati per implementare i principi di una flexsecurity, non ci si fermi ancora a metà per mancanza di fondi come nella cosidetta riforma Biagi in cui ci si è fermati alla prima parte senza mai attivare la seconda sulla protezione di chi perde il lavoro.
Ovviamente affinchè la protezione sia universale e non solo per i "soliti protetti e/o ammanicati" deve esserci obbligo di formazione o di altro lavoro sia per non dare sussidi senza chiedere nulla in cambio sia per recuperare, nel medio e nel breve termine rispettivamente, in altra forma la spesa della protezione.
giancarlo
Non possiamo continuare a discutere degli aggiustamenti di questo sistema che sta producendo sempre più danni senza discuterne le fondamenta a cominciare dell'assoluta libertà di mercato.
Sull'acqua il popolo si è pronunciato adesso occorre operare per gli altri beni comuni ed essenziali.
Non si può decentemente sostenere che la questione dell'art. 18 è vitale per lo sviluppo dell'occupazione togliere anche questa difesa ai lavoratori occupati a tempo indeterminato non farà assumere un solo precario.
Giorgio Centola
Un discorso sulle regole legate al lavoro è delicato. Confligge con la grande frustrazione di tanti giovani, con la disillusione di tanti anziani, con tanti casi personali drammatici. Ma se si vuol cercare una soluzione che non guardi ai prossimi cinque minuti bisogna cercare di astrarsi, a costo di apparire freddi e avulsi dall'esperienza di vita vissuta.
Qui abbiamo a che fare con due palle al piede, con due zavorre. La prima è l'ideologia, rimasta alle "lotte" degli anni Settanta, un'era molto distante dalla nostra: quando i legami con l'Europa erano meno stringenti e la parola globalizzazione ancora doveva essere inventata. E credo che nessuno oggi possa ignorare queste due realtà: l'Europa, nostra seconda patria alla quale siamo legati a doppio filo, e quella globalizzazione che, se pure in maniera brutale, sta diffondendo un maggior benessere al di fuori del recinto "occidentale".
La seconda palla al piede è la mentalità, o se vogliamo l'abitudine. Il "posto fisso" fino alla pensione, sempre nella stessa azienda, possibilmente vicino a casa. Se vogliamo, c'è una parte di noi che già allora aveva scelto altre strade, optando per una scomodissima "libertà di cambiare"; ma queste cose se le poteva permettere chi era disposto e predisposto a essere molto flessibile, a sopportare un'alta dose di stress, chi aveva un minimo di solidità che gli desse le risorse per i periodi di non-lavoro. I più si erano accucciati nella prospettiva-certezza di trovare un "posto" valido per tutta la vita, e non pensarci più. Oggi questa prospettiva non è più praticabile. E allora che si fa?
Le soluzioni sono molteplici, e a quanto pare il Governo ci sta lavorando, confrontandosi con tutti. Ma qui mi sembra che l'unica ancora a cui aggrapparsi sia per molti un certo fatidico articolo. Mi sembra un orizzonte limitato. Mi sembra che i lavoratori dipendenti danesi, e anche quelli tedeschi, e anche quelli francesi, il numero 18 e il relativo articolo non sappiano nemmeno che cos'è. E mi sembra che i lavoratori dipendenti danesi, tedeschi e francesi stiano molto meglio di quei lavoratori dipendenti italiani che hanno l'articolo diciotto. E ancor meglio di tutti quegli altri italiani, e sono sempre di più, per il quali l'articolo 18 è una semplice chimera.
E allora, perché non immaginare seriamente una nuova griglia di regole che sia equa per tutti, che protegga la dignità e la serenità di tutti, lasciando da parte le palle al piede? E non ditemi che non si può fare perché siamo in Italia. Perché se perdiamo la speranza di cambiare in meglio, allora tanto vale andare tutti a giocare a Bingo.
La messa a punto di regole per un mercato del lavoro più dinamico e più equo è proprio il modo per evitare "l'assoluta libertà del mercato", visto che esistono già in altri Paesi.
Il problema si pone se attuabili in Italia causa le profonde differenze di sistema e di cultura rispetto ai Paesi di riferimento. Premessa per l'equità è l'estensione universalistica della protezione nei periodi di mancanza di lavoro che necessita di risorse economiche. Gli imprenditori e la fiscalità generale quante risorse sono disposti a mettere a disposizione?
Premessa per la dinamicità è la disponibilità di efficienti ed efficaci organismi pubblici e/o privati che accompagnino tutti i singoli lavoratori coinvolti personalmente nella individuazioni di opportunità di lavoro e eventuali corsi di formazioni necessari e di controllare la corretta realizzazione di tutto il processo di reinserimento nel nuovo posto di lavoro.
Ciò non è impossibile in Italia e quindi non bisogna rassegnarsi ma essere consapevoli degli ostacoli e avere la volontà politica di superarli con costanza nel tempo.
giancarlo
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