venerdì 13 aprile 2012

Dove vivo, io esisto: L’Italia siamo tutti!

E' questo il tema al quale abbiamo dedicato la serata di Lunedì 16 e la mattinata di Sabato 21
Il sottotitolo del nostro doppio evento era: La cittadinanza per i bimbi nati in Italia da genitori “stranieri”: riflettiamo  sulla proposta di legge e sulla presenza dei bambini di diverse provenienze nelle scuole italiane. Ci sembra interessanta e collegata l'idea in discussione al Comune di Milano di cui si parla in questo articolo.
Elisabetta Visintainer ci introduce al complesso argomento:
Da che cosa nasce il desiderio di riflettere insieme sul tema della cittadinanza italiana relativamente ai bimbi nati in Italia da genitori “stranieri”? Innanzi tutto dalla constatazione che, sopraffatti dai problemi economici individuali e più in generale del paese, si parli troppo poco o in modo sporadico di questo problema, che spesso non viene considerato alla stregua delle altre emergenze. Alcuni potranno obiettare che non è del tutto vero: c’è stato infatti l’appello del Presidente della  Repubblica, poi recentemente quello della Curia di Milano e qualche tempo fa perfino Fini ha fatto dichiarazioni
in questo senso. E poi c’è il bel progetto di legge del PD. E forse dimentico qualcuno. C’è stata inoltre la raccolta firme “l’Italia sono anch’io” e molte iniziative di associazioni e di scuole. L’impressione è tuttavia quella che la consapevolezza sul tema non sia così diffusa nella cittadinanza e che, laddove se ne parli, le riserve siano molte e l’atteggiamento sostanzialmente difensivo. Ecco perché bisogna parlarne,  perché il desiderio che ci accomuna, che l’Italia sia davvero un paese civile, passa anche attraverso un’evoluzione, un’apertura del sentire comune, una nuova fiducia, un’idea nuova di cittadinanza condivisa, e quindi attraverso  la diffusione di una cultura dell’accoglienza, dei diritti e di e dei doveri comuni che una cittadinanza condivisa comporta.
I bambini che incontriamo per strada, a scuola, ai giardini, che vediamo giocare e studiare sono “stranieri”,  spesso solo formalmente, perché anche se nati in Italia o arrivati in Italia da neonati, non possono avere i diritti di cittadinanza.
Ecco alcuni dati: sono circa un milione i minorenni residenti in Italia, figli di genitori stranieri. Di questi circa 650 mila sono nati nelle strutture sanitarie del nostro Paese. Nelle scuole lombarde su 173000 alunni figli di immigrati il 48%, cioè 83000 è nato in Italia. E già è scandaloso che questi siano considerati stranieri senza, come dire, sfumature. Inoltre il 42% è arrivato nel corso degli studi ed è in Italia da almeno 6 anni e il 32% da 3 anni. E per questi non c’è neppure una proposta di legge che tenga conto del loro status. La legge che regola la cittadinanza (la n° 91 del 1992) è da considerarsi ormai inadeguata e non in linea con gli altri paesi europei: essa stabilisce che lo status giuridico dei bambini, figli di immigrati, cui capita di nascere in Italia è inestricabilmente legato alla condizione dei genitori, come un'eredità.
Occorre forse che ci rendiamo conto che il paese in cui viviamo non sfugge alle complessità che accomuna tutti i paesi. Le migrazioni, i bambini che vivono nei nostri (nostri ?) quartieri, che siedono accanto ai nostri figli nelle nostre (nostre ?) scuole sono parte del continuo cambiamento della società , cui non possiamo reagire solo con la contrapposizione tra un “noi” e un “loro”.
E’ questo credo il senso dell’appello di Napolitano di mercoledì 26 novembre: "Mi auguro che in Parlamento si possa affrontare anche la questione della cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri. Negarla è un'autentica follia, una assurdità", seguito, dopo qualche mese, da quello della Curia  di Milano: «Una persona che è nata, cresciuta e formata in un dato Paese ovviamente se ne sente cittadina ed è giusto che lo sia anche giuridicamente, anche se i suoi genitori provengono da un`altra nazione... La cittadinanza non è solo un atto giuridico che si trascrive in un registro, è un atto di cultura».
Passiamo ora al secondo punto, logica conseguenza di quanto finora detto: è ovvio che l’aumento della mobilità delle popolazioni ha come conseguenza la necessità che la scuola si attrezzi di fronte ad una progressione più o meno costante di presenza di bambini di migranti, in atto ormai da qualche decennio.
La lunga esperienza di insegnante mi ha posto di fronte a situazioni che ho sempre vissuto con rabbia, impotenza e dolore, un esempio per tutti la difficoltà e spesso l’impossibilità di far partecipare alcuni ragazzi agli scambi con la Francia,  ma lo sdegno per questa esclusione era condiviso solo con le famiglie dei compagni di scuola (quando si è all’interno di una realtà le idee possono essere diverse…), con alcune persone e in alcune situazioni nell’ambito della “militanza di sinistra”, altrove ho trovato una certa indifferenza.
Ci è parso quindi questo il momento giusto per parlarne, per sollecitare solidarietà e perplessità. Diverse sfumature si sono sentite: “…sono d’accordo, ma solo se i bimbi sono scolarizzati..”, “…e se poi vengono tutti a partorire in Italia?...” “…sì, ma solo se fanno l’esame di lingua e cultura italiana…” “…sì ma solo se sono qui da tot anni…” ecc. per ognuna di queste affermazioni si può rispondere con una affermazione di forza uguale e contraria…
Ovviamente questo primo livello di cittadinanza “formale” porta con sé altri temi che possiamo definire di cittadinanza “effettiva” e numerose riflessioni collaterali: l’integrazione, l’inserimento nelle scuole, la cittadinanza condivisa, il diritto allo studio, l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda … e su un altro piano, la cittadinanza europea in rapporto alle cittadinanze nazionali…
Ancora una piccola considerazione per concludere: si parla di jus sanguinis e jus soli, la distinzione tra queste due possibilità di acquisire la cittadinanza di un paese, le sfumature intermedie che si possono scegliere,  non è una questione tecnica, ma una questione fondamentale che regola la convivenza civile degli abitanti, a diverso titolo , di un paese. La scelta per l’una o per l’altra soluzione  normativa costituisce la risposta ad una domanda ovvia: Che cosa è importante per un paese, rispetto ai diritti e ai doveri che i suoi abitanti devono avere?
elisabetta.visintainer@fastwebnet.it

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